Con la sentenza n. 30061 del 23/07/2024 la III Sezione Penale della Corte di Cassazione chiarisce la natura del reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti, previsto e punito dall’art. 256, comma 2, del Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 152/2006).
L’occasione è il ricorso della Procura Generale presso la Corte di Appello di Brescia avverso una sentenza resa proprio da quest’ultima, con la quale l’imputato era stato assolto dal reato in commento “perché il fatto non sussiste”.
La Corte di Appello, infatti, pur dando atto della sussistenza del deposito incontrollato di rifiuti e della sua riferibilità all’imputato, avrebbe riconosciuto l’insussistenza di un pericolo effettivo per l’ambiente, in ragione della natura e delle caratteristiche della struttura che conteneva i rifiuti.
A dire del Procuratore Generale ricorrente, tuttavia, questo ragionamento sarebbe erroneo poiché la norma – cha ha natura di contravvenzione – non richiede quale ulteriore elemento costitutivo il pericolo concreto per l’ambiente, da accertarsi di volta in volta. Di contro, quello che viene punito è il pericolo presunto che la condotta de quo possa in astratto cagionare all’ambiente, posto che la valutazione di pericolosità è stata già svolta ex ante dal Legislatore, sulla base di leggi scientifiche.
La Corte di Cassazione aderisce a questa prospettazione.
In motivazione, la valutazione della Suprema Corte parte dalla definizione di deposito controllato o temporaneo: con tale espressione si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 183 del Codice dell’Ambiente.
Di conseguenza, in difetto anche di uno dei requisiti normativi, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito preliminare” (quando il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione di smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero) o come “discarica abusiva” (nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi).
La fattispecie di deposito incontrollato di rifiuti, secondo la Suprema Corte, non costituisce un reato di pericolo concreto, perciò non necessita di un accertamento specifico, volta per volta, della effettiva potenzialità lesiva della condotta nei confronti del bene-ambiente tutelato dalla norma. La potenzialità lesiva della condotta è infatti già stata ritenuta tale, a monte, dal Legislatore, perché suscettibile già in astratto, a fronte della semplice violazione delle norme sul deposito di rifiuti, a mettere in pericolo il bene tutelato dalla norma incriminatrice.
A suffragio della tesi sostenuta, la Suprema Corte poi ricorda che il reato in questione può configurarsi sia come reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti (come nel caso in cui la condotta consista in un’attività esclusivamente dismissiva del rifiuto), sia come reato permanente, laddove l’attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti. In ogni caso, l’accertamento di una concreta potenziale lesione al bene tutelato non costituisce elemento costitutivo del reato, in quanto è già la condotta di deposito incontrollato in sé a determinare il pregiudizio che, seppure potenziale, è sanzionato dalla norma incriminatrice.