La viticoltura è sempre rispettosa del paesaggio?

C’è chi dice no…

Il rapporto tra la viticoltura ed il paesaggio trova, nella complessità della stratificazione delle tutele costituite da norme e provvedimenti amministrativi di vario grado, estensione e livello, nuovi elementi di riflessione.

Una meno recente pronuncia del Consiglio di Stato (la n. 718/2015, Sez VI), aveva stabilito che la riprofilatura a gradoni di un’area collinare volta all’impianto di un vigneto, seppure in zona tutelata dal vincolo paesaggistico di notevole interesse pubblico (contemplato dall’art. 136 del D.Lgs 42/2004, Codice dei Beni culturali e del Paesaggio), non necessitasse di preventiva autorizzazione paesaggistica, necessaria, ai sensi dell’art 146 del Codice, per gli interventi su aree vincolate.

La sentenza osservava che la riprofilatura a gradoni era funzionale all’attività viticola e ricordava che lo stesso Codice, all’art. 149, dichiara come non soggetti ad autorizzazione gli interventi inerenti all’attività agro-silvo-pastorale, quale certamente è quella viticola, che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi mediante costruzioni e opere civili o alterazione dell’assetto idrogeologico.

A questa impostazione certamente liberalizzante fa da contraltare una pronuncia recente che invece si colloca in senso pressoché opposto.

Il TAR Sicilia, sezione di Catania, con la sentenza n. 171/2024, si è pronunciato sul diniego dell’Ente Parco dell’Etna al nulla-osta richiesto da una azienda agricola, ai sensi della legge regionale 14/1998, e volto ad un intervento di riqualificazione di una particella di terreno per l’impianto di un vigneto a spalliera.

Il nulla osta dell’Ente Parco sostituisce, per espressa disposizione della legge istitutiva, quello paesistico previsto dalla Legge 1497/1939 e successive modifiche.

Secondo la prospettazione dell’azienda agricola istante, l’intervento avrebbe comportato la sistemazione del suolo al fine di creare il necessario raccordo tra le diverse curve di livello, in modo da ottenere una pendenza che degradasse in maniera armonica per assecondare i caratteri di insolazione e per garantire lo svolgimento delle rituali operazioni colturali. Non sarebbe stata prevista la realizzazione di muri di sostegno, ma la creazione di ciglioni atti ad evitare il franamento del terreno, garantendo, al contempo, la copertura vegetale naturale in corrispondenza di salti di quota e degli affioramenti di roccia, costituenti elementi caratterizzanti dell’aspetto paesaggistico dei luoghi. Tra l’altro, l’impianto avrebbe in parte insistito su un’area in passato già coltivata a vite, visto che il Comune, nel suo sopralluogo, avrebbe rilevato l’esistenza di alcune piante storiche di viti da vino, tanto da approvare l’istanza, per quanto di propria competenza.

Dall’altro lato, l’Ente Parco ha motivato il proprio diniego sulla scorta della stringente disciplina del Parco. In base ad essa, l’esercizio agricolo è ammesso solo su superfici già oggetto di uso agricolo, cioè su superfici che possiedono i requisiti per la prosecuzione o il ripristino della coltivazione agraria; pertanto gli interventi agricoli possono essere realizzati solo salvaguardando l’attuale orografia del terreno, tutti i terrazzamenti esistenti, l’eventuale roccia affiorante, le eventuali torrette di pietrame lavico e tutte le piante forestali vegetanti presenti anche singolarmente.

L’Ente poi menziona anche le norme del piano paesaggistico, osservando che esse obbligano il mantenimento della vegetazione naturale presente o prossima alle aree coltivate o boscate (tra cui elementi arborei isolati o arbustivi ed elementi geologici come rocce e pareti rocciose) in grado di costituire habitat di interesse ai fini della biodiversità. Esse, anche ai fini del mantenimento dell’equilibrio idrogeologico, non consentono di effettuare movimenti di terra e le trasformazioni dei caratteri morfologici e paesistici dei versanti.

Il Tribunale rigetta il ricorso e conferma il diniego del nulla osta da parte del Parco.

Il Collegio richiama le finalità precipue dell’Ente Parco, che deve gestire l’area naturale sottoposta alla sua tutela mirando in primo luogo a preservare l’ambiente ed il paesaggio. Se questi obiettivi vanno bilanciati con le aspettative dei privati in modo da consentire un equilibrio il più possibile soddisfacente tra gli interessi coinvolti nell’agire amministrativo, il Tribunale siciliano non manca di osservare che lo scopo dell’Ente Parco sia quella di “preservare il paesaggio esistente, formatosi anche sulla scia e per gli effetti di precedenti attività antropiche di tipo tradizionale”. Perciò, le future modificazioni possono essere consentite solo se esse saranno in grado di preservare gli elementi naturalistici e caratteristici già presenti, ad essi armonizzandosi.

Nel caso specifico, la concreta “messa in opera” di questi principi è individuata dal Tribunale, in assenza di un regolamento dell’Ente Parco, nei pareri costantemente resi, nel tempo, dal Comitato Tecnico scientifico dell’Ente, a cui era demandata funzione consultiva e di indirizzo generale.

Ebbene, secondo il Tribunale, tutti i pareri resi nel tempo dal CTS si contraddistinguono per un alto livello di tutela del territorio, volto ad impedire la “sostanziale trasformazione dei luoghi anche attraverso notevoli opere di sbancamento”, escludendo “movimenti di terra significativi” ovvero, per quanto attiene ai terrazzamenti, che la loro sistemazione “avvenga con mezzi agricoli (motozappe e trattori leggeri) solo nelle terrazze esistenti escludendo la rimozione di affioramenti rocciosi; che vengano salvaguardati tutti gli esemplari” di vegetazione peculiare esistente, anche isolatamente, e “che vengano mantenuti e sistemati i muretti a secco dei terrazzamenti”.

Questi orientamenti ben possono assurgere a criterio direttivo per la soluzione di casi concreti e futuri, ed in tal senso il Collegio rileva come l’Ente abbia nel corso del tempo autorizzato gli interventi agricoli solo ove questi non comportassero una modificazione permanente dello stato dei luoghi.

Anche la circostanza, accertata, che il terreno oggetto dell’istanza fosse stato interessato in passato da coltivazioni viticole non sposta la questione, secondo il Tribunale, perché lo stato dei luoghi era nel complesso inidoneo ad attività viticola se non a prezzo di interventi significativi, impattanti e permanenti. Attività incompatibile con i criteri di tutela sempre adottati dal Parco.

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